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[Processo ai 25] sintesi udienza 16 febbraio - Truglio

Deve esserci una qualche strana sostanza che agisce sulla memoria dei
testimoni, nell’aula del Tribunale di Genova dove si sta svolgendo il
processo ai 25 manifestanti accusati di devastazione e saccheggio durante
il g8. Ne abbiamo avuto l’ennesima conferma venerdi 16 febbraio,
ascoltando nientemeno che la testimonianza del Colonnello Giovanni
Truglio, militare con un curriculum di tutto rispetto
[http://supportolegale.org/?q=node/1008] che a Genova era a capo dei CCIR,
le Compagnie di Contenimento e Intervento Risolutivo.
E’ sicuro e sbrigativo, il colonnello, quando spiega il proprio ruolo di
coordinamento per la logistica e il dispiegamento dei cinque battaglioni
(Lombardia, Toscana, Lazio, Campania e Sicilia) che formavano i CCIR.
Dopo un addestramento speciale di un mese e mezzo, durante il quale ogni
battaglione viene preparato dal proprio comandante (i capitani Bruno,
Bianchi, Nardelli, Cappello e il maggiore Zanaroli), i carabinieri si
ritrovano a Genova una settimana prima del vertice. La mattina del 20
luglio 2001 Truglio accompagna il generale Leso in questura; quest’ultimo
deve partecipare ad una riunione, e lo stesso Truglio riceve le ultime
disposizioni per la giornata. Da lì si reca in zona Viale Brigate
Partigiane – Brigate Bisagno per schierare i propri contingenti. Raggiunge
il 3° battaglione Lombardia, comandato dal cap. Bruno, e da lì assiste ai
primi scontri. Torna poi in Fiera, dove è di stanza l’8° battaglione
Lazio, comandato dal cap. Bianchi, e si unisce a due mezzi che si muovono
verso corso Italia per portare i viveri al 12° battaglione Sicilia. E’
ormai pomeriggio quando si sposta verso corso Torino e incontra il cap.
Bruno e il suo battaglione Lombardia: un contingente “devastato”, con
feriti e macchie verdi sulle uniformi, presumibilmente di vernice,
provocate da “ordigni che si disfacevano”. In fondo a corso Torino vede un
folto assembramento di carabinieri e poliziotti, che fronteggiano con un
fitto lancio di lacrimogeni gruppi di facinorosi (armati di
pericolosissimi fazzoletti sul collo!); ad essi si unisce il battaglione
Sicilia, capitanato da Cappello e dal vicequestore Lauro, finché non è
proprio il vicequestore a spostarli verso piazza Alimonda. Truglio segue
il contingente e quando arriva li trova in atteggiamento rilassato, tanto
che ad un certo punto recupera il suo mezzo (una Land Rover, che usa tutto
il giorno) e decide di andarsene. Ma si allontana solo pochi metri, il
tempo di vedere frotte di manifestanti che da via Tolemaide si stanno
spostando verso via Caffa; torna indietro e avverte Lauro e/o Cappello,
non ricorda esattamente quale dei due. Il battaglione si muove quindi
verso via Caffa e Truglio si accoda con la sua jeep. Il contingente si
ferma circa metà di via Caffa e subisce uno “schianto di cassonetti che si
abbattono sugli scudi” (sic), prova a resistere ma poi arretra. La Land
Rover di Truglio e quella del battaglione fanno marcia indietro su piazza
Alimonda e vengono superate dal battaglione a piedi che arriva in piazza
Tommaseo.
Stiamo arrivando ad uno dei nodi della testimonianza di Truglio, la
ricostruzione dell’omicidio di Carlo Giuliani. Il colonnello scende dalla
jeep insieme al maresciallo Amadori, mentre vi resta a bordo l’autista, il
maresciallo Primavera; sull’altro mezzo, Truglio sa solo che ci sono due
carabinieri che non stanno bene. In questo momento, secondo la
testimonianza, l’altra jeep viene violentemente attaccata da manifestanti
inferociti. Nello specifico, Truglio riferisce di un manifestante che
arriva a ballare sul cofano della jeep: una circostanza che, curiosamente,
non appare in alcun video o fotografia di quei minuti... Ad ogni modo, il
colonnello fa avanti e indietro e cerca di richiamare il contingente che
staziona in piazza Tommaseo. Nel frattempo, una delle due jeep aziona la
sirena (“come deterrente”) e riesce ad uscire dalla piazza da una via
laterale. A questo punto, Truglio vede un manifestante che cade a terra e
finisce sotto la jeep rimasta, che lo investe e se ne va. Il colonnello
ripete più volte, suscitando una certa perplessità, di non aver udito
alcun colpo di pistola e di avere per questo creduto che il manifestante
fosse morto investito. Mentre la jeep esce dalla piazza, arriva finalmente
il contingente da piazza Tommaseo e si schiera intorno al corpo. Truglio
resta nella piazza per un po’, comunicando la situazione via radio e
preoccupandosi di capire quale mezzo fosse coinvolto nella morte:
ricordiamo che ancora non sapeva se a bordo ci fossero i suoi uomini o
meno.. Ritrovata la sua Land Rover in una via poco distante, si accerta
dell’estraneità dei suoi al fatto (e, da come lo racconta, probabilmente
tira più d'un sospiro di sollievo) e scopre che il maresciallo Amadori ha
visto l’altra jeep allontanarsi su via Caffa in evidente difficoltà e si è
quindi messo alla guida per portare i colleghi in ospedale (dove,
misteriosamente, il loro ingresso è registrato solo per le 18.50).
Successivamente torna in fiera, dove riferisce l’accaduto al generale
Leso, insieme a lui va al comando provinciale per essere interrogato e
così finisce la giornata. Sabato 21, racconta, i carabinieri resteranno
nelle retrovie per non provocare i manifestanti e non parteciperanno ad
episodi di rilievo.

Tutto questo, Truglio lo racconta con voce ferma e piglio deciso. Ma,
quando si tratta di rispondere alle domande degli avvocati delle difese,
il colonnello tentenna.
Non ricorda i nomi dei funzionari con cui parla venerdì mattina in
questura. Non ricorda le direttive che stabilirono le modalità di
selezione degli uomini del CCIR se non che si erano scelti uomini con una
certa esperienza: immaginiamo sia stata grande la sua sorpresa
nell’apprendere che, ad esempio, Dario Raffone (il cc che era sul retro
della jeep insieme a Placanica) era nell’arma solo dal marzo 2001 e aveva
appena terminato il corso base quando è stato inviato a Genova.
E’ estremamente vago su come e chi precisamente durante la giornata faceva
girare il flusso d’informazioni tra i carabinieri, finché non è proprio un
avvocato a fargli presente che il tramite tra comando provinciale e
comando delle compagnie CCIR era... Truglio medesimo.
E’ forse il primo testimone a fornire elementi certi per la propria
identificazione, spiegando che durante tutta la giornata ha indossato una
pettorina con i gradi e un casco con due stelle; ma stranamente quando
durante un video appare un carabiniere munito di casco con due stelle
stenta a riconoscersi, e non va oltre un generico "potrei essere io".
Gli vengono mostrate alcune foto in cui si vedono chiaramente dei
carabinieri impugnare sbarre di ferro al posto dei tonfa in dotazione,
eppure lui non solo non ha visto nulla, ma non è nemmeno disposto ad
ammettere che quelli non siano i manganelli regolamentari. Si limita a
spiegare che non era responsabile del controllo delle dotazioni: di più
non concede.
Torna ad essere vago quando si parla dei pericolosi “apprestamenti
artigianali” dei manifestanti: non ricorda di aver saputo che al Carlini
si costruissero pubblicamente protezioni, né ha memoria di precedenti che
potessero far presagire un uso offensivo delle protezioni da parte dei
manifestanti.
E’ impreciso quando parla della sua conoscenza della composizione dei
cortei e dimostra, paradossalmente, di non essere stato in alcun modo
interessato alla gestione dell’ordine pubblico durante quelle giornate; il
nostro prode si è sì occupato dell’organizzazione dei contingenti in
piazza, ma sapeva a malapena che il corteo di venerdì fosse autorizzato e
non aveva alcuna informazione sulle piazze tematiche.
Ma attenzione! Il colonnello ha un improvviso ritorno di memoria quando,
dopo aver ascoltato la registrazione di una comunicazione radio, riesce
addirittura a specificare al PM che si tratta della seconda chiamata che
ha fatto dopo la morte di Carlo Giuliani. Peccato che questo flash duri
pochi attimi e quando la parola torna alle difese Truglio riprende il
solito atteggiamento incerto.
Tanta arroganza finisce per irritare anche la Corte, che sottopone il
teste a un fuoco di domande. Scopriamo così un altro paio di dettagli
interessanti: Truglio non ha mai firmato alcun verbale o atto a proposito
del G8, e l'unica traccia del suo racconto sta nella deposizione resa la
sera del 20 luglio all'autorità giudiziaria. Una situazione piuttosto
inusuale per un testimone diretto.. Inoltre, pare che il colonnello e il
capitano Cappello abbiano studiato teorie ben diverse sulla gestione delle
operazioni in piazza; mentre Cappello ha ammesso che era stato un grosso
errore lasciare, nella colonna che si era mossa su via Caffa, le due jeep
a chiusura, Truglio difende la scelta fatta e la ritiene perfettamente in
linea con le teorie generali.
Il colonnello Truglio è un uomo di salde certezze (salvo forse quando si
tratta di attribuire resposabilità precise), per cui non stupisce la
sicurezza con la quale ha risposto al giudice che gli ha domandato se,
dopo il G8, all'interno dell'Arma sia stata avviata una riflessione di
qualche tipo sugli errori commessi: un deciso "no", secco come un colpo di
pistola.
Stavolta ben udibile.

Prossima udienza il 27 febbraio con i primi testi della difesa; udienze
fissate per tutto marzo di martedi e venerdi.