Art. 419 del Codice Penale: “Chiunque, al di fuori dei casi previsti dall’art. 285 (devastazione, saccheggio e strage, ndr), commette fatti di devastazione e saccheggio è punito con la reclusione da 8 a 15 anni”.
“Devastazione e saccheggio” è un reato che non era stato più contestato dall’immediato dopoguerra e che è stato rispolverato dalla Procura di Genova per i fatti del G8 del 2001, dopo due tentativi: uno fallito, a Torino, per la manifestazione per la morte di Baleno del 4 aprile 1998; e uno riuscito, a Roma, nel 2002, nei confronti di alcuni ultras. Gli elementi che integrano il reato sono: l’ordine pubblico messo in crisi e il danneggiamento ripetuto di beni, anche tramite “compartecipazione psichica” tra gli imputati.
Per dirla in breve, non occorre aver effettivamente “devastato”, ma è sufficiente essere presente mentre gli altri devastano...
Durante il processo, nella parte riservata alla richiesta prove, la discussione si concentra da subito sui video e sulla loro ammissibilità come prova, dal momento che la Procura decide di gestire questo processo quasi integralmente provando i fatti tramite le immagini. I difensori chiedono di poter avere accesso all’archivio completo del materiale utilizzato dalla Procura, segnalando l’esistenza di un enorme fascicolo a carico di ignoti (al quale nessun difensore può avere accesso, dal momento che non esistono indagati) dal quale l’accusa ha “pescato” le immagini che riteneva rilevanti. Inoltre, i difensori degli imputati fanno presente di non aver ancora ottenuto copia del materiale depositato all’interno di questo fascicolo e di non essere quindi in grado di procedere al controesame dei testi portati dall’accusa, che testimonieranno, quasi tutti, con l’ausilio di supporti video o fotografici.
Il Tribunale “invita” quindi la Procura a consegnare alla difesa copia del materiale video fotografico depositato in tempi brevi e concede un termine ai difensori per visionare il materiale.
Viene chiamato a deporre il primo testimone dell’accusa: l’ispettore Vittorio Corda, istruttore della Polizia Municipale, sezione di Polizia Giudiziaria, incaricato dai PM di ricostruire e situare cronologicamente, per sostenere l’accusa di devastazione e saccheggio, alcuni dei fatti commessi in Genova nei giorni 20 e 21 del luglio 2001. Durante l’esame di questo teste, utilizzando i tre DVD da lui prodotti, viene “ricostruita” la storia di quei giorni. Sarebbe questa la “prova regina” dell’accusa in questo processo. In realtà, il video prodotto da Corda è un montaggio e, come ogni montaggio, non è assolutamente una ricostruzione neutra dei fatti, ma un’interpretazione realizzata in modo da proporre allo spettatore un messaggio preciso attraverso immagini accuratamente selezionate, poste in studiata sequenza ed il più possibile suggestive. Corda, nonostante l’opposizione dei difensori che rappresentano il problema al Tribunale, viene esaminato dai PM, mentre alle difese è consentito di rinviare il controesame fino al momento in cui i consulenti tecnici dei difensori avranno avuto modo di analizzare integralmente i materiali depositati dalla Procura in questo procedimento.
Nel corso dell’ultima udienza prima della pausa estiva, che si tiene il 13 luglio 2004, i PM chiedono termine al fine di contestare le memorie della difesa ed il Collegio rinvia la decisione sui materiali video fotografici al 17 settembre. La decisione del Tribunale sarà quella di acquisire i DVD di Corda (“riservata ogni valutazione in merito all’efficacia probatoria del loro contenuto”), mentre il restante materiale video e fotografico verrà acquisito di volta in volta, se ritenuto rilevante e pertinente rispetto al teste. Con una successiva ordinanza il Presidente del Tribunale
Devoto specificherà ancora che solo nel caso in cui il teste riconosca nel video se stesso o una specifica situazione di cui è stato protagonista, il video relativo potrà essere acquisito come prova.
Nei mesi che seguono, sfilano uno ad uno i testi-chiave dell’accusa: vale a dire i poliziotti e i carabinieri che comandavano i vari contingenti schierati per le strade di Genova nel luglio 2001, tra i quali i responsabili delle cariche e dei pestaggi indiscriminati ordinati e condotti per tutelare il cosiddetto “ordine pubblico”.
Uno dei più importanti sarà il Primo Dirigente della Polizia di Stato Pasquale Zazzaro, responsabile, nei giorni del G8, della Centrale Operativa della Questura. In altre parole, si tratta del PS che teneva le fila delle comunicazioni radio indicando ai dirigenti di piazza dove spostare i contingenti e quali operazioni effettuare, sulla base di ordini ricevuti dal Questore, o delle richieste fatte dagli stessi dirigenti in piazza. Zazzaro è un teste piuttosto reticente, si ricorda poco o niente, ma è in realtà una figura molto importante, in quanto la sua audizione consentirà alla difesa di entrare in possesso di tutte le comunicazioni radio passate per la centrale operativa della Questura (non quelle dei carabinieri quindi) durante le giornate di luglio 2001, e che verranno largamente utilizzate nelle udienze successive. Tra i vari poliziotti e carabinieri che si sono susseguiti sul banco dei testimoni, molto significativi per la ricostruzione della difesa risultano il Primo Dirigente di PS Mario Mondelli, il capitano dei CC Antonio Bruno e il Dirigente del Commissariato di PS Centro Angelo Gaggiano, chiamati a testimoniare principalmente sui fatti di via Tolemaide, che di fatto consentono la prima ricostruzione completa della carica al corteo autorizzato delle tute bianche.
Mondelli è il PS dirigente di piazza e in quanto tale responsabile del contingente dei carabinieri che ha caricato il corteo della disobbedienza, mentre il capitano Bruno è il CC che comandava quel contingente (il Btg. Lombardia). Dalla loro testimonianza emerge che la prima carica contro il corteo delle tute bianche (partita intorno alle ore 15) è stata un’iniziativa autonoma e improvvisa dei carabinieri e non, come era sembrato fino ad allora, una scelta fatta dal responsabile dell’ordine pubblico di quel corteo (il PS Gaggiano). Una carica violenta che travolge prima i numerosi giornalisti che si trovavano all’incrocio tra corso Torino e via Tolemaide, e poi il corteo di 10mila persone che stava avanzando pacificamente lungo un percorso autorizzato.
Con la testimonianza del capitano Bruno (udienza del 16 novembre 2004), la difesa segna un punto importante anche sotto un altro aspetto.
Grazie al materiale video e fotografico utilizzato, infatti, gli avvocati dimostrano (e Bruno, di fronte all’evidenza delle immagini, non può far altro che confermare) che i carabinieri hanno caricato il corteo utilizzando non i normali manganelli in dotazione all’Arma (i “tonfa”) ma diversi tipi di oggetti contundenti “fuori ordinanza”, mazze di ferro comprese.
Il 2005 si apre con la testimonianza di Gaggiano, che si protrae per tre interminabili udienze. Gaggiano è sentito in quanto responsabile di piazza per il corteo della disobbedienza il giorno 20 luglio, e responsabile del corteo internazionale il giorno 21. La sua testimonianza è confusa, a volte delirante, piena di imprecisioni che spesso sembrano menzogne costruite ad arte per sviare la difesa. Il giorno 20 luglio Gaggiano stazionava con i suoi contingenti in piazza Verdi, in attesa del corteo delle tute bianche che scendendo da via Tolemaide avrebbe dovuto arrivare lì. Ma il corteo non arriverà mai. Verrà caricato prima dai carabinieri di Bruno e poi dallo stesso Gaggiano (circa un’ora più tardi). Ma Gaggiano la prima carica non la vede proprio, e arriva a sostenere che non c’è mai stata. Le evidenti assurdità che propina continuamente, anche di fronte a immagini inequivocabili, convincono la difesa a chiedere al Tribunale di valutare l’attendibilità del teste. La difesa tira fuori dal cilindro una sentenza di condanna per ricettazione. Una storia vecchia, che potrebbe fare non troppo effetto sul Tribunale.
Ma Gaggiano - è più forte di lui - mente ancora una volta, raccontando che aveva “comprato un mobile”. Poco dopo il Presidente del Tribunale, dopo un’occhiata alla sentenza, lo corregge: era stato condannato per avere venduto mobili rubati. Gaggiano cerca goffamente di ribattere. Il Presidente lo congeda seccamente.
Dopo Gaggiano si susseguono altri testi, relativi a via Tolemaide e a piazza Alimonda, come il vice questore aggiunto Fiorillo, il tenente dei carabinieri Mirante e il giornalista Giulietto Chiesa.
Quest’ultimo, che è anche un teste della difesa, riconferma la ricostruzione della prima carica contro il corteo delle tute bianche.
Dopo Tolemaide e Alimonda, nei mesi di giugno e luglio tocca alle identificazioni: sono chiamati a deporre Digos ed esperti del Gabinetto Scientifico Ligure, per effettuare i riconoscimenti degli imputati. In assenza di impronte digitali e DNA, la strategia della procura è quella di ricorrere agli “esperti” di riconoscimenti somatici. Sfilano il Dott. Cavalera e il suo successore, Daniela Campasso. Udienze interminabili la cui rilevanza scientifica è quasi nulla; il giudice Devoto ricorda tra l’altro alla difesa il proprio ritardo nel sollevare questioni relativi alle acquisizioni delle relazioni dei consulenti della scientifica, che ne avrebbero invalidato l’acquisizione.
Difficile tracciare un bilancio di questo anno: sicuramente si dovrà tornare sulla carica di via Tolemaide per ribadire la completa inadeguatezza della catena di comando e delle metodologie usate dalle FFOO in occasione del G8 a Genova.
A fronte di piccoli successi della difesa, non possiamo non registrate alcuni passaggi a vuoto da parte del collegio difensivo, a volte molto timido nei confronti invece di due PM, Anna Canepa e Andrea Canciani, che masticano amaro: indubbiamente pensavano di fare meglio. In realtà anche la loro strategia, spesso offuscata dai loro scatti nervosi, risulta grigia, rispetto alle potenzialità che avrebbero potuto mettere in campo.
Meglio per la difesa, meglio per gli imputati, ma in questa lunga partita a scacchi non si può dare nulla per scontato.
Nel corso del 2006 il processo è stato sospeso a lungo, per poi concludere i testimoni dell’accusa con il noiosissimo testimone / tecnico Zampese, usato da Canepa e Canciani per fare entrare
tutto quello che loro interessava nel processo senza dover transitare per una corretta indagine e interrogazione di testimoni. Una volta ripreso il processo nella primavera del 2007, il tribunale capeggiato da Marco Devoto ha deciso di intensificare le udienze, e dopo aver ascoltato parlamentari, giornalisti, politici che raccontavano di come le forze dell’ordine hanno messo a rischio la sicurezza di migliaia di persone, si è giunti agli ultimi testimoni della difesa.
Dopo il colpo di coda del ritorno in aula di Mario Placanica, che ha (almeno in quell’occasione) confermato di aver sparato in piazza Alimonda mirando in aria, l’esame dei testimoni si è concluso infatti il 22 giugno 2007, lasciando poi spazio ad arringhe di accusa e difesa. E in sette lunghissime udienza i PM Canepa e Canciani completato l’operazione di revisione della storia che è cominciata il giorno dopo le mobilitazioni contro il g8 del 2001, arrivando a paragonare ifatti di strada alle violenze della polizia alla Diaz.
E chiedendo “pene severe ma non esemplari”: tra i 6 e i 16 anni di carcere per ogni imputato, in totale 225 anni di carcere. A cui l’Avvocatura di Stato ha poi aggiunto una richiesta folle di risarcimento per “danni d’immagine”, quantificati in due milioni e mezzo di euro.
Sono ora in corso le arringhe del collegio difensivo, mentre la sentenza è prevista per dicembre.