«Diaz, verità a comando»
I pm: l'ex capo della polizia dietro le modifiche alla testimonianza dell'allora questore Colucci
GENOVA. Il preludio: «Devo fare marcia indietro e rivedere le dichiarazioni su chi ha chiamato Sgalla». L'input di Spartaco Mortola: «Francesco non ricordi? Ci avevano detto che potevano esserci i black-bloc, è questa la verità». I complimenti: «Anche il capo mi ha detto che sono andato bene. E mi sa che ho complicato il processo». Il dubbio: «Mi intercettano? Non importa, io ho detto solo cose vere». La paura: «Sono sott'inchiesta per una cosa avvenuta adesso, non può intervenire la prescrizione».
In due diversi faldoni, la procura di Genova registra e dà forma al mosaico di telefonate dell'ex questore genovese Francesco Colucci a oltre sei anni dal G8. Si tratta delle comunicazioni che hanno alimentato il
procedimento per falsa testimonianza a carico dell'ex capo della polizia Gianni De Gennaro, di Colucci stesso e dell'ex responsabile della Digos nel capoluogo ligure Spartaco Mortola. Centinaia di dialoghi nei quali
entrano nomi importantissimi della polizia italiana (compreso l'attuale numero uno Antonio Manganelli), e che danno il polso del clima di apprensione creatosi fra i vertici della pubblica sicurezza dopo il terremoto delle inchieste.
Tutto ruota intorno alla figura di Colucci. Secondo i magistrati, ha ritrattato la prima testimonianza sul disastro Diaz dopo l'imbeccata di De Gennaro e per questo entrambi (insieme a Mortola) rischiano il rinvio a giudizio. Un passaggio, quest'ultimo, che potrebbe indurre De Gennaro - oggi al vertice di gabinetto del ministero dell'Interno - a rassegnare le proprie dimissioni: lo avrebbe confidato ad alcuni, strettissimi collaboratori, profilandola come ipotesi estrema nel caso in cui fosse formulata ufficialmente l'imputazione.
E però nelle carte che i pm Francesco Cardona Albini, Patrizia Petruzziello, Vittorio Ranieri Miniati ed Enrico Zucca hanno depositato due giorni fa al palazzo di giustizia, c'è molto di più. «Un disegno» insistono i pubblici ministeri, che hanno elaborato, oltre al compendio "grezzo", un secondo dossier (riservato) nel quale sono scanditi i tempi delle chiamate sospette, evidenziati i passaggi che certificherebbero un'evoluzione emblematica dell'atteggiamento di alcuni poliziotti, decisi a ingessare gli accertamenti sui fatti del G8 e a mettere in guardia chi è maggiormente coinvolto.
La prima parte dell'incartamento è intitolata "Preparazione degli accordi" e chiama in causa, fra le altre, due telefonate fra Colucci e Mortola, avvenute la sera del 26 aprile di quest'anno e la mattina del 28, con le quali il primo informa il secondo d'un significativo passaggio giudiziario (tutti gli stralci riportati, anche se non sempre letterali, riassumono con precisione il senso complessivo delle comunicazioni, ndr). «Sono arrivate delle notifiche, sai? Al capo, a me...». L'interlocutore è sorpreso («Ah sì?», risponde d'istinto) e cede di nuovo la parola all'ex questore, che pronuncia la frase più importante: «Ho parlato con il capo (Gianni De Gennaro), devo fare marcia indietro e rivedere le sue dichiarazioni per renderle uniformi alle mie». Colucci è sempre agitato, ancora di più quando chiede a Mortola di ripercorrere la notte tra il 21 e il 22 luglio 2001, ovvero quella del blitz alla Diaz. L'ex Digos spiega, fornisce input netti: «Non ti ricordi della riunione? Non ti ricordi che fu Kovac (Stefano Kovac, responsabile logistica del Genoa Social Forum) a dirci che non poteva escludere la presenza dei black-bloc nell'edificio? Francesco è questa la verità, e devi dire solo la verità». Colucci vuole chiarire punti controversi, che avevano discostato il suo resoconto da quello di De Gennaro. «Ma siamo andati anche alla Pascoli (edificio prospiciente la Diaz nel quale era acclarato ci fossero solo sostenitori del Gsf)? «Sì - dice Mortola - abbiamo sbagliato». Il 3 maggio, nel corso dell'interrogatorio, Colucci raddrizza punto su punto le "distonie" con De Gennaro. In particolare, oltre ai dettagli già"chiariti" con Mortola, rimarca d'essere stato lui a decidere di chiamare Roberto Sgalla (responsabile dei rapporti con la stampa) e non d'averlo fatto su ordini superiori. Un particolare all'apparenza ininfluente, ma nella ricostruzione della procura dimostrerebbe come le alte gerarchie avessero gestito l'operazione Diaz affiancando o scalzando di fatto i responsabili locali.
Il bello viene dopo. Perchè facendo parte della "Commissione avanzamento", dove si decidono trasferimenti e carriere, Francesco Colucci riceve continue chiamate di colleghi (tra gli altri Giovanni Luperi) che si compiacciono del suo atteggiamento processuale. Ha colloqui frequenti con De Gennaro (quest'ultimo lo confermerà nell'interrogatorio del 14 luglio) e ripete che pure lui gli ha detto «è andata bene». Parlando con un amico-collega fa quindi il nome di un altissimo funzionario il quale, oltre ad avergli manifestato la propria solidarietà in un colloquio faccia a faccia, avrebbe criticato pesantemente l'operato della magistratura. Con il trascorrere delle settimane la situazione si complica, Colucci riceve un'imbeccata precisa e capisce d'essere intercettato. «Non me ne frega nulla - si sfoga in un'altra conversazione - io ho detto solo la verità».
Arrivano l'avviso di garanzia, sa di rischiare un procedimento pesante. E un po' si spaventa, poiché sono fatti freschi e non possono essere inghiottiti dalla prescrizione.
Nel frattempo il suo avvocato, Maurizio Mascia, ha rifiutato la notifica dell'avviso di conclusione indagini: «È una civile protesta, poiché il mio assistito ne aveva già ricevuto notizia dai giornali prima che l'atto fosse recapitato. E troppo spesso in questo procedimento i difensori non sono stati rispettati». Perplessi si definiscono invece i difensori di Mortola, Piergiovanni Iunca e Alessandro Gazzolo: «Ha solo fornito delle delucidazioni a precise domande, ribadendo semplicemente a un superiore fatti già noti alla pubblica opinione».
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