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[Il Secolo XIX] I Pm G8: contro di noi un piano della polizia

di Marco Menduini

C’era un piano preciso per screditare i magistrati che indagano sul G8. Un piano che passa per tutte le linee gerarchiche della polizia e anche per il nuovo capo Antonio Manganelli. È la convinzione della procura della Repubblica, dopo le intercettazioni che hanno inguaiato l’ex numero uno, Gianni De Gennaro, l’ex questore, Francesco Colucci (insieme nella foto di repertorio), e l’ex capo della digos genovese, Spartaco Mortola. Manganelli viene ripetutamente chiamato in causa nelle conversazioni tra gli ultimi due. Quella più significativa è del 24 maggio scorso. «Colucci - annota il verbale della polizia giudiziaria - accenna al fatto di aver parlato ieri sera con il capo della polizia (allora ancora De Gennaro, ndr) circa argomenti legati alle promozioni e agli spostamenti del personale. Sul finire del discorso si torna a parlare del G8. Colucci: “Grazie a te, comunque è una rottura di palle questa qua, eh?”. Mortola: “Eh, lo so che è una rottura di palle, Franco, ma poi voglio dire... anche per il modo in cui l’hanno fatto... sono proprio carognate queste”». Ricordiamo: due giorni prima l’ex questore aveva ricevuto un avviso per falsa testimonianza nel processo Diaz.

La conversazione prosegue. Colucci dice: «Manganelli stamattina mi ha detto: bisogna dargli una bella botta a ‘sto magistrato (parla del pm Enrico Zucca, ndr), dice... mi ha accennato che qualcuno sta pigliando delle carte non troppo regolari...». Mortola è stupito: «Eh vabbè,,, non lo so». Colucci conclude: «Eh, ma te lo dico io!».

Ma non sono questi gli unici colloqui sospetti. Anche se, è opportuno evidenziarlo, né De Gennaro né Manganelli appaiono mai in prima persona nelle conversazioni. Si tratta sempre di colloqui riferiti da Colucci. Il nuovo capo della polizia compare anche in altre intercettazioni. Ce n’è abbastanza per tirare le somme: una fonte della procura conferma ancora una volta l’esistenza di un piano preciso per attaccare i magistrati genovesi e, in particolare, il pm divenuto l’emblema di questo processo: Enrico Zucca.

La prassi dei vertici di polizia, secondo quanto emerso dalle intercettazioni telefoniche e nell’interpretazione dei titolari dell’inchiesta, sarebbe proprio questa: non solo commenti più o meno pesanti degli imputati contro i magistrati, ma pressioni e suggerimenti da parte dei capi.

Ci sono altre frasi in cui compare l’attuale capo della polizia: «Il capo (De Gennaro, ndr) è arrabbiato per l’accaduto»; poi: «Manganelli ha detto che devono andarci giù di forza». È ancora Colucci che parla e, riferendo di un colloquio tra Manganelli e un altro interlocutore, ricorda: «Dicono che devono fare un’azione comune per essere pesanti contro i magistrati».

Arriva sera e Antonio Manganelli decide di affidare la sua repica a una secca nota di agenzia. Non nega di aver parlato con Colucci. Ma riguardo alle sue frasi intercettate commenta: «È stato un tradurre liberamente e con linguaggio inappropriato la mia manifestazione di vicinanza e di affetto ad un collega in difficolta». Ovvero: qualche battuta c’è stata, forse anche un po’ più pepata per tirar su il morale a Colucci, che in quel periodo sembrava davvero nel pallone. Ma nessun attacco, nessuna interferenza, conferma Manganelli, nei confronti della magistratura.

E Colucci? Da parte sua appare irremovibile: «Io non ho cambiato la mia testimonianza, ho sempre detto la verità. Potrò aver sbagliato, per difetto della mia memoria, a collocare qualche particolare. Ma quel che ho detto è vero». Spartaco Mortola, oggi vicequestore vicario di Torino, affida la replica al suo avvocato Pierluigi Junca: «Non ha mai indotto Colucci a mentire. Insieme hanno cercato di parlare e ricostruire quel che era accaduto. Peraltro discorrendo di questioni già abbondantemente apparse sui giornali e discusse in aula».

Le intercettazioni, ricordiamo, sono partite dopo la contestazione a Colucci di aver mentito nel processo. Ad averlo indotto a cambiare versione, secondo i pm, sono stati De Gennaro e Mortola.

Ma quei fogli contengono anche una sorpresa che non mancherà di surriscaldare ulteriormente gli animi. Come il Secolo XIX ha anticipato, nei verbali appaiono anche conversazioni tra gli imputati e i loro avvocati. Il caso più evidente è quello che riguarda la persona indicata nei documenti allegati all’avviso di conclusione delle indagini preliminari come “Sandro”. Il numero di telefonino conferma che quella persona è Alessandro Gazzolo, uno dei due difensori di Spartaco Mortola. Che, tra gli altri frammenti di conversazione con il suo assistito, sostiene a un certo punto: «Nei prossimi giorni vado a parlare con il capo della polizia».

La circostanza è destinata sicuramente a creare nuovo trambusto intorno al processo. Le intercettazioni dei colloqui privati tra gli imputati e i loro difensori, oltre a ledere (secondo gli avvocati) i fondamentali diritti alla difesa, pongono i pm in una condizione di particolare privilegio, perché possono conoscere le strategie della controparte. Ancor più se il procedimento (come in questo caso) nasce come “costola” di un processo più ampio e già in corso di svolgimento.

«Prepariamoci a portare gli anelli al naso, come gli Zulù», è il sapido commento dell’avvocato Maurizio Mascia, il difensore di Colucci. Che ricorda come abbia rifiutato di farsi notificare gli avvisi riguardanti l’ex questore di Genova per polemica contro l’atteggiamento tenuto da alcuni magistrati.