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[La stampa] corteo tranquillo nella città blindata

Genova, don Gallo guida la marcia
no global: «Sul G8 non c’è verità»
PAOLO COLONNELLO
INVIATO A GENOVA
«Padroni di niente, servi di nessuno, all’arrembaggio del futuro!». Bello lo slogan, gagliardo lo spirito, non fosse che qui l’unico arrembaggio vero è quello ai pochi bar rimasti aperti in centro. E quelli che hanno chiuso si mordono le mani per aver dato retta alla psicosi da G8 e allo sciopero del commercio che alle 15 avevano reso Genova una città fantasma. Complice anche la tramontana che soffia sul corteo dei No Global, facendo crescere col passare delle ore più la domanda di tè caldo che la voglia di ripetere gli scontri del 2001, quando la città venne messa a ferro e fuoco. Un delirio da guerriglia urbana di cui ancora oggi ci si rimpalla le responsabilità e si attendono verdetti, con due secoli di condanne che aleggiano sulle teste dei presunti responsabili.

Niente botte
Smentite le Cassandre, scongiurate le botte, tra riti scaramantici di varia natura alle 18 organizzatori e Digos si ritrovano all’angolo tra piazza Dante e via Fieschi alitando sulle mani, per interrogarsi sul numero dei partecipanti («50 mila? 100 mila? Facciamo 60 mila e non se ne parli più..») e sciogliere le tensioni di una giornata iniziata con grandi timori: per il raduno indetto per solidarizzare coi 25 imputati degli scontri del 2001 («Vittime sacrificali, capri espiatori») e per chiedere l’apertura di una commissione parlamentare sul G8. Una ferita ancora aperta che alla fine della manifestazione, constatando l’assenza di ogni violenza, il sindaco di Genova Marta Vincenzi (Pd) ritiene di poter definitivamente cicatrizzare: «Genova si è ripresa l’onore, è tornata a essere una delle capitali della democrazia e della civiltà».

Il sermone

D’altronde non sarebbe potuta andare diversamente visto che il corteo, che raccoglieva tutte ma proprio tutte le sigle della sinistra antagonista (dagli Indipendentisti sardi di Iglesias al Comitato per la pace nel Magentino, passando per i NoTav e i Centri sociali) era aperto da un prete, don Andrea Gallo che, sigaro in bocca, cappello da cow boy e sciarpa arcobaleno d’ordinanza, ha finito per guidare più una processione che una manifestazione. Con tanto di sermone tenuto al concentramento davanti alla stazione marittima e invito «a non lasciarsi provocare da questi figli di puttana! Non lasciatevi provocare, mandate affa’n culo i profeti di sventura». Non proprio un linguaggio da parrocchia ma efficace, visto che il corteo-processione ha raccolto l’invito e per cinque chilometri si è snodato senza il minimo incidente, contando perfino la presenza di bambini e disabili in carrozzella.

Una processione laica con tanto di fumogeni, musica a palla dai camion, tamburi e bandiera Usa bruciata sotto Porta Soprana dagli anarchici genovesi, i più determinati e dispettosi, fino al punto da staccare per tre volte il cavo del microfono a Don Gallo in piazza De Ferrari, tappa finale (con concerti e comizi) del corteo. Fine delle provocazioni. E gioia degli organizzatori che non si aspettavano una risposta così numerosa ed entusiasta a un corteo che a molti (soprattuto della destra) era parso come minimo sconveniente.

Polizia invisibile

Invece tutto è filato liscio, merito anche delle forze dell’ordine che pur con una presenza massiccia (mille uomini) sono state capaci di rendersi pressochè invisibili, presidiando con discrezione i punti nevralgici della città ed evitando il minimo contatto con le frange del corteo più infiammabili. Che pure non hanno lesinato insulti e scritte sui muri, da «sbirri assassini» a «Nassirya docet». La solita tristezza. In fondo i tempi sono cambiati. I leader invecchiati (Francesco Caruso si aggirava con fidanzata un po’ sperso, mentre Vittorio Agnoletto, più incanutito che mai, si è presto infilato in un bar) non si sono quasi notati, e il vento gelido ha indotto tutti a miti consigli. Anche i pochi Ultras che si sono mescolati al corteo in nome di Gabriele Sandri, ucciso una settimana fa in un’area di servizio dell’autostrada, e i più duri e più puri dei Centri sociali di Torino e Milano, presenti in nome di Carlo Giuliani ucciso nel 2001 in piazza Alimonda. Tutti uniti per la resistenza termica al Grande Freddo.