«Amato non doveva nominare De Gennaro e Manganelli»
G8, processo Diaz Dopo le intercettazioni pubblicate ieri dal manifesto, Giuliano Pisapia (Prc) attacca il ministro dell'Interno
Simone Pieranni
Giuliano Pisapia, presidente della commissione per la riforma del codice penale del ministero della giustizia e legale della famiglia Giuliani, aveva esposto il punto di vista giuridico sulle vicende del 2001, proprio a Genova lo scorso 17 novembre. Da quel giorno a oggi le vicende giudiziarie legate al processo Diaz si sono evolute, aprendo nuovi squarci di indagine e di riflessione su politica, forze dell'ordine, magistratura.
Che idea si è fatto delle indagini su De Gennaro, Colucci e Mortola e che indirettamente tirano in ballo anche Manganelli?
Aprono un ulteriore spiraglio di verità su una vicenda che ha aspetti particolarmente inquietanti. Premesso che la presunzione di innocenza deve valere per tutti, quanto sta emergendo rende ancora più inaccettabili le scelte fatte in tema di forze dell'ordine da parte del ministro Amato, sia in relazione alla nomina di De Gennaro, sia in relazione alla nomina dell'attuale capo della polizia. E il fatto che chi ha ruoli importanti e ha un'esperienza di indagini basate soprattutto sulle intercettazioni parli così liberamente di fatti di cui dovrebbe vergognarsi e che sono anche penalmente rilevanti, è la conferma che vi è chi è convinto di poter usufruire di una totale impunità.
Un clima di impunità che ha responsabilità politiche piuttosto precise, viste le ultime promozioni.
Mi sarei aspettato un livello minimo di responsabilità politica, tanto più da parte di un governo di centrosinistra. Un conto può essere non penalizzare chi è sotto indagine finché non ne è accertata la responsabilità, altro è promuovere ai più alti livelli chi è sotto indagine o, in ogni caso, ha avuto un ruolo nelle giornate di Genova. È inaccettabile. Vi sono leggi che prevedono la sospensione dei dipendenti pubblici anche prima di una sentenza, e invece il governo, sia di centrodestra che di centrosinistra, promuove a incarichi delicatissimi, anche nei servizi segreti, chi è sotto indagine e in alcuni casi è addirittura già stato rinviato a giudizio per reati di particolare gravità. Promuovendo chi ha violato le regole si penalizza e si indebolisce il movimento democratico interno alla polizia.
Che futuro può avere l'inchiesta?
E' vero che stiamo parlando di telefonate de relato, quindi fatti riportati, e che i colloqui dell'ex questore di Genova devono essere valutati con la massima prudenza, ma se vi sono riscontri, quali ad esempio incontri o riunioni per «aggiustare» determinate deposizioni, allora anche dal punto di vista processuale gli elementi indiziari assumono quel livello di gravità sufficiente per un giudizio di colpevolezza. La verifica dibattimentale è non solo necessaria ma indispensabile.
Ci sono anche attacchi pesanti al magistrato.
Col senno di poi, forse, oggi si può dare una spiegazione anche a quell'attacco, che poteva sembrare incomprensibile e che in ogni caso era inaccettabile nei confronti del pm Zucca da parte del capo della squadra mobile genovese questa estate. La realtà è che ci sono fatti inquietanti, come quello di avere un'appartenente alla polizia nel corso del dibattimento (la funzionaria dello Sco, De Meo, sulla cui presenza in aula ci fu una interrogazione parlamentare di Graziella Mascia del Prc, ndr) per finalità che, a quanto pare emergere dagli atti, non erano certamente finalizzate all'accertamento della verità.
Intanto la politica tace.
La cosa sconvolgente è che anche chi, come i Ds, si erano resi conto della gravità dei fatti all'epoca e avevano capito che non si trattava solo di brutale repressione, ma che vi era stata una prova generale di annullamento delle garanzie democratiche, oggi sembra volere, pur con apprezzabili eccezioni, tendere a seppellire nel silenzio fatti così gravi.