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[Carta] Due processi intralciano la marcia della destra

di Lorenzo Guadagnucci

13 aprile 2005

Oggi, con il senno di poi, sappiamo che nell'estate del 2001 è cominciata una lunga marcia che dovrebbe avere come sbocco l'affermazione in Italia di una democrazia autoritaria. Nelle piazze di Genova le forze dell'ordine mostrarono il loro volto più duro, assecondate e protette da un potere politico deciso a perseguire il suo progetto. Nemmeno l'uccisione di un ragazzo e il clamore suscitato nel mondo dai plateali abusi commessi contro cittadini inermi hanno frenato il piano. La destra è anzi riuscita a volgere a proprio favore gli orrori di Genova. Ha garantito la piena copertura politica alle forze dell'ordine, inclusi agenti e dirigenti subito indagati dalla magistratura, e ha messo in piedi un apparato di propaganda e disinformazione che è riuscito a diffondere nel paese un'idea capovolta dei fatti. Oggi la maggior parte degli italiani pensa che Genova fu "messa a ferro e fuoco" da gruppi violenti e che le forze dell'ordine furono costrette a intervenire per tutelare la città e le istituzioni. Gli italiani pensano che Carlo Giuliani fu davvero ucciso per legittima difesa e che alla scuola Diaz e alla caserma di Bolzaneto qualche agente forse esagerò e per questo è finito sotto processo, e che toccherà alla magistratura stabilire se qualcuno ha davvero sbagliato.
La lunga marcia dal 2001 è andata avanti. La destra ha messo un'ipoteca sulle forze dell'ordine, facendo prevalere la logica della repressione su quella della prevenzione. L'antica idea di una polizia democratica, aperta alla società civile, è stata sepolta sotto una coltre di retorica militarista e di corporativismo: nemmeno i sindacati, che sono ormai una ventina, credono più nella riforma del 1981, che smilitarizzò il corpo e consentì l'organizzazione sindacale. I carabinieri sono un organismo militare sempre più opaco e lontano, i corpi speciali si moltiplicano. Di recente anche i vigili del fuoco, grazie a un'apposita "riforma", sono stati condotti nell'alveo delle forze dell'ordine. La fine dell'esercito di leva ha coinciso con la massima espansione del militarismo e del patriottismo bellico. Siamo anche in guerra, sia pure con la copertura formale di una "missione di pace". La Fortezza Italia è in costruzione: la retorica della sicurezza, della lotta al terrorismo, dei pericoli legati all'immigrazione, è entrata nel senso comune. La "riforma" della costituzione sta facendo il resto, immaginando uno stato gerarchico e plebiscitario.
Il G8 di Genova è stato un punto di svolta: ha accelerato il progetto autoritario. Rispetto ai piani della destra, c'è stato solo qualche imprevisto: la forte reazione, ma solo nell'immediato, dell'opinione pubblica; la prontezza dei movimenti, che non si sono fatti schiacciare dalle violenze e dalle successive accuse; e infine le inchieste della magistratura. Queste ultime, per i fautori dell'Italia autoritaria, sono l'imprevisto più fastidioso. Il 6 aprile è cominciato il processo per i fatti della Diaz. Alla sbarra c'è il ceto dirigente della polizia di stato. Fingono tutti tranquillità, ostentano sicurezza, ma sono inquieti: sia gli imputati sia i loro protettori politici. I primi non temono di finire in prigione, sanno che nel peggiore dei casi saranno salvati dalla prescrizione, ma non si aspettavano di finire in tribunale. I secondi mal sopportano quest'inghippo giudiziario. Il processo per la Diaz, e quello che sarà probabilmente aperto per le torture di Bolzaneto, sono due ostacoli seri sul percorso della lunga marcia cominciata nel 2001. Il fatto stesso che questi processi si facciano, sia pure con tanto ritardo e con tanti possibili imputati sfuggiti per sempre alla giustizia, è un primo argine che si oppone all'ondata autoritaria. Udienza dopo udienza, con gli agenti costretti alla sbarra, può formarsi nel paese un nuovo movimento d'opinione in grado di riconquistare la scena con nuove parole d'ordine: diritti civili, garanzie costituzionali, libertà d'espressione del dissenso. C'è una battaglia culturale da condurre per non soccombere sotto la retorica della sicurezza e della fiducia incondizionata nelle autorità costituite, quali che siano e qualsiasi cosa facciano. Ma questa battaglia non tocca ai magistrati. In tribunale si possono accertare eventuali responsabilità penali dei singoli imputati, e nulla più. I processi sono un'occasione per la società civile e per il ceto politico. Si riuscirà a lanciare una duratura campagna culturale e politica per la difesa e l'estensione delle libertà civili? La risposta non è scontata, perché la materia è scottante: sono in gioco alcuni poteri forti e sappiamo quanto la retorica dell'ordine e della sicurezza abbia fatto breccia nel fronte democratico e di sinistra. Ma non ci sono alternative: le risposte, se ci saranno, devono venire da qui. La lunga marcia, intanto, è in corso.

Lorenzo Guadagnucci