Dopo la Diaz, via libera al processo per Bolzaneto. Rinviati a giudizio a
Genova 45 tra agenti e medici penitenziari, poliziotti e carabinieri. Abusi
vari, lesioni, percosse e violazione delle norme europea sulla tortura
ALESSANDRO MANTOVANI
Sarà una lotta contro la prescrizione, che scatterà nel gennaio 2008. Entro
quel termine bisognerà arrivare alle condanne di primo grado per assicurare
almeno il risarcimento alle 150 parti civili ammesse al processo per
Bolzaneto. Quasi tutti i contestati si prescrivono in cinque anni più la
metà , dunque sette e mezzo da quel fatidico luglio 2001. E' ben difficile,
anche senza la legge «salva Previti», che possa pronunciarsi la cassazione.
Ieri mattina a Genova, alla presenza di tre soli imputati, il giudice
dell'udienza preliminare Maurizio De Matteis ha rinviato a giudizio 45 dei
47 imputati, accogliendo la quasi totalità delle tesi dei pm Vittorio
Ranieri Miniati e Patrizia Petruzziello. E' il via libera al secondo grande
processo alle forze dell'ordine per i fatti del G8 di quattro anni fa.
L'altro è quello per l'assalto e le prove false alla scuola Diaz, 28
imputati tra i quali alti dirigenti della polizia.
Alla sbarra per Bolzaneto andranno quattordici appartenenti alla polizia
penitenziaria (il più alto in grado è il generale Oronzo Doria) più cinque
medici della stessa amministrazione compreso il responsabile sanitario del
carcere provvisorio del G8, Giacomo Toccafondi; quattordici della polizia di
stato a partire dal vicequestore Alessandro Perugini ex vicecapo della Digos
di Genova, già rinviato a giudizio per l'aggressione a un manifestante
minorenne; dodici carabinieri tra cui un tenente. Per un imputato, agente
penitenziario, il giudice ha disposto il non luogo a procedere. Un suo
collega, Antonio Biribao, sarà giudicato a parte con rito abbreviato. Sono
stati stralciati alcuni capi d'accusa che riguardavano imputati comunque
rinviati davanti al tribunale. E conviene ricordare che per altri centodue
indagati la procura ha già sollecitato l'archiviazione, dimostrando di non
voler sparare nel mucchio. Tra loro anche il magistrato Alfonso Sabella,
capomissione del Dap a Genova e primo responsabile del carcere eccezionale e
provvisorio istituito per il G8.
I reati contestati a vario titolo sono abuso d'ufficio, abuso d'autorità su
arrestati, violenza privata, lesioni personali, percosse, ingiurie, minacce
e falso ideologico per i verbali in cui si affermava che gli arrestati erano
stati informati dei loro diritti (qui la prescrizione è più lunga). Sono
state denunciati insulti fascistoidi e imposizione odiose come quella di
gridare «viva il duce», ma l'apologia del fascismo è stata esclusa. Secondo
la memoria depositata a marzo dai pm, a Bolzaneto fu violato l'articolo 3
della Convenzione europea dei diritti umani che vieta la tortura e i
trattamenti inumani e degradanti: applicando i criteri della Corte di
Strasburgo si rientra precisamente in quest'ultima definizione, un gradino
sotto la tortura. Ma in Italia non è previsto un reato specifico, come
invece esigerebbe la Convenzione europea contro la tortura, e per questo la
procura di Genova ricorre alle diverse fattispecie elencate che prevedono
tempi di prescrizione ridotti.
Per molti episodi di violenza - dita divaricate fino a strapparle, pestaggi,
spray urticante nelle celle - vittime e testimoni hanno riconosciuto i
diretti responsabili. E i riconoscimenti si sarebbero moltiplicati se
fossero stati possibili fin dall'inizio, subito dopo le scarcerazioni: gli
stranieri vennero invece espulsi e quindi ascoltati solo a distanza di uno o
due anni; gli italiani hanno comunque dovuto attendere i tempi lunghi degli
album fotografici, per non dire della qualità delle foto.
Al contrario il vicequestore Perugini, il generale Doria e altri, come
l'ispettore Biagio Antonio Gugliotta e i vari ispettori e sottufficiali che
avevano la responsabilità delle celle rispondono anche dell'operato dei loro
sottoposti e dunque dei reati che avrebbero dovuto impedire. Da subito era
parso chiaro, sulla stampa come nelle prime deposizioni, che nella caserma
c'era un clima diffuso di violenza e di abuso. Fin dal comitato
d'accoglienza in cortile e dalle due ali di agenti disposte nel corridoio
per malmenare gli arrestati al loro passaggio. Nell'ordinanza il giudice De
Matteis sottolinea che si andò ben al di là di «qualsiasi ipotesi di
limitazione ulteriore della libertà dei detenuti stessi, anche con forme di
rigore non consentite. Non si vede infatti come, ad esempio, il costringere
una persona a chinare la testa dentro un vespasiano possa costituire una
`misura di rigore non consentita'. Tali azioni appaiono, per la loro feroce
gratuità , totalmente estranee a qualsiasi nozione di `misura di rigore', sia
essa consentita o meno, in quanto non perseguono il fine di limitare e
controllare la libertà di una persona, ma solo di umiliarne la personalità ».
il manifesto, 18 maggio 2005