«Incrocio pericoloso», quello di ieri, sull'asse Genova-Cosenza e i processi post-G8, a confermare la sensazione che il processo cosentino - che vede imputati 13 attivisti della rete del sud ribelle per svariati reati, tra i quali l'associazione sovversiva - assomigli a un processo bis di quello già in corso a Genova, e momentaneamente sospeso, contro 25 manifestanti accusati di devastazione e saccheggio. Spartaco Mortola, all'epoca dei fatti primo dirigente della Digos genovese, dal novembre 2004 vice questore vicario di Alessandria, a Cosenza, e Stefano Kovac, allora responsabile della logistica del Gsf, a Genova al «processo Diaz», hanno dato vita a due udienze intimamente connesse tra loro.
Mortola si è sottoposto alle domande del controesame durante l'udienza cosentina: «Caricare con un blindato sarebbe stato criminale», ha affermato. Poco dopo le immagini trasmesse in aula hanno mostrato una delle folli corse dei blindati dei carabinieri tra i manifestanti. «Io quell'ordine non lo avrei dato», ha detto in aula, «ma poco prima un blindato era stato dato alle fiamme». «Poco prima» in realtà significa, stando alla cronologia dei fatti, proprio poco dopo la carica al corteo autorizzato di via Tolemaide, effettuato dal duo Antonio Bruno (capitano dei carabinieri) - Mario Mondelli (funzionario ps), che saranno ascoltati a Cosenza l'8 giugno. Quella carica, come venne dimostrato durante un'udienza del procedimento genovese, si contraddistinse per essere effettuata su un corteo autorizzato, senza lasciare alcuna via di fuga ai manifestanti e, come hanno dimostrato le immagini, con l'uso di mazze al posto dei già famigerati tonfa. Alla domanda cruciale circa le ragioni di quella carica, la risposta dell'ex dirigente della Digos genovese è laconica: «non lo so».
Mortola è protagonista, non solo in quanto imputato, anche nell'udienza genovese riguardante i fatti della Diaz, per i quali sono a processo 29 tra funzionari, dirigenti, agenti di polizia. In sede di indagini emerse infatti che proprio una telefonata tra Mortola e Kovac avrebbe «fondato» i motivi dell'irruzione nell'istituto. Secondo la versione dell'ex Digos, infatti, poco prima dell'operazione Kovac gli avrebbe riferito «che la scuola non era più sotto controllo del Glf». Una versione che non è in sintonia con quanto affermato da Kovac sia in sede di indagini, sia in tribunale ieri. «Mortola mi chiese chi ci fosse dentro alle scuole; risposi che c'era il media center da un lato, e dall'altro l'internet point e persone che dormivano lì a causa della pioggia di giovedì 19 luglio». Le domande di Mortola lo insospettirono: «Gli dissi di non fare cazzate e lui mi rispose di stare tranquillo». Poco dopo la telefonata Mortola scorterà tra le strade di Genova le squadre delle forze dell'ordine, «prescelte» per l'irruzione alla scuola Diaz. Un'operazione oscura fin dall'inizio: la parlamentare Graziella Mascia, ascoltata ieri, ha ricordato di aver cercato di contattare, invano, sia l'allora ministro Scajola il capo della polizia De Gennaro. Bertinotti, che raggiunse telefonicamente il capo della polizia, fece sapere alla Mascia «che non ci poteva fare nulla» e che «dovevano cavarsela da soli».