Direttissima per gli occupanti dell’ex macello di piazzale Allende. Manifestanti all’uscita dal palazzo di giustizia
Il Lupo in gabbia, 18 mesi agli autonomi
Processo fiume, sentenza a tarda sera. Giudici un’ora in camera di consiglio
Francesca Villani
Sei mesi ciascuno. Una «pena spropositata» per l'avvocato dei tre autonomi, Andrea Marvasi,che esce dall'aula preceduto dal alcuni ragazzi del centro sociale – accompagnati a loro volta da mamme e papà - venuti a dare sostegno ai compagni che hanno ”tentato l'impresa”.
Il giorno del processo ai tre occupanti dell'ex macello (36 ore sul tetto del Mariano Lupo) è lungo: nel casellario delle udienze è fissato per le 11.30 del mattino. Slitta alle tre del pomeriggio,ma quando comincia sono quasi le 16.
Davanti al tribunale ci sono camionette della polizia, si alternano una decina di agenti. Dai furgoni non scenderanno mai perché i ragazzi sono tesi ma non hanno voglia di alzare la voce.Attendono pazienti quella benedetta sentenza e le parole sono affidate a un volantino: in trenta righe il loro punto di vista suggellato dalla convinzione che «le lotte non si processano».
La sentenza del giudice Gennaro Mastroberardino arriva dopo un'ora abbondante di camera
di consiglio e accoglie in pieno le richieste del pubblico ministero Lucia Russo. Ai due parmigiani (uomo e donna di 26 e 28 anni) sei mesi ciascuno senza condizionale. Niente carcere,però,ma libertà controllata con l'obbligo di firmare al commissariato competente almeno una volta al giorno per un anno intero. Il provvedimento è severo:comprende pure la sospensione della patente, il ritiro del passaporto e il divieto di allontanarsi dal Comune di residenza, se non in circostanze eccezionali legate a motivi di studio, di lavoro o di salute.
Diverso il trattamento riservato al ragazzo di Genova: il giudice ha condannato anche lui a sei mesi,la pena però è stata sospesa. Le differenze trovano fondamento nei precedenti: al contrario del genovese, i due parmigiani erano già stati segnalati più volte per aver preso parte a manifestazioni non autorizzate.
«Una pena assolutamente spropositata - commenta amaro l'avvocato Marvasi – considerando che la condizionale viene concessa anche per reati più gravi».
E ancora:«Si tratta di una sentenza che lascia il tempo che trova,faremo senz'altro ricorso in appello». E il giudizio di secondo grado potrebbe risolversi presumibilmente in un'assoluzione.
I tre ragazzi sono stati processati con il rito abbreviato per le accuse di danneggiamento aggravato e occupazione abusiva di edificio pubblico (rei confessi per quest'ultimo reato). Il dibattimento si è svolto senza la presenza dei testimoni, alla ricostruzione dei fatti si è arrivati attraverso la discussione in aula degli atti documentali redatti durante l'interrogatorio di garanzia.
L'esito della vicenda ha un retrogusto ancora più indigesto per Francesco,portavoce dei ragazzi del collettivo e ”regista” dell'occupazione del 27 e 28 gennaio scorso.Appena fuori dall'aula pronuncia pure lui la sua condanna nei confronti delle forze politiche di centrosinistra (che dall'azione hanno preso le distanze) e il «linciaggio mediatico» che loro del collettivo sono stati costretti a subire.
Venerdì nuova assemblea
Il collettivo: «Continueremo a farci sentire»
Non sarà certo una sentenza di condanna a fermare l’assemblea permanente del Mario Lupo.
E allora ecco già pronte azioni di gran lunga più pacifiche rispetto all’occupazione del 27 e 28 gennaio scorso. L’appuntamento è per venerdì:alle 17.30 in piazza Garibaldi il collettivo dà il via a una raccolta firme per la costruzione di un centro di documentazione antifascista. La sera stessa organizza nella casa cantoniera di via Mantova una cena di autofinanziamento per le spese processuali.
Scrivono gli autonomi nel volantino al quale hanno affidato ieri la loro - questa volta silenziosa - protesta:«Ancora una volta una questione legata alla cronica mancanza di spazi sociali a Parma (...) viene risolta in modo repressivo».Per la cronaca, va detto che l'amministrazione, in realtà aveva proposto due spazi ai ragazzi del collettivo.
«Erano una foglia di fico – avevano però replicato - Una a Marore, troppo fuori per essere raggiunta.L'altra,al centro argonne, erano solo due stanze minuscole per realizzare una bibilioteca e un centro di documentazione antifascista,come avevamo chiesto».