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[processo diaz] sintesi e trascrizione XCVI udienza - l'ex vice capo della polizia Ansoino Andreassi

Le Molotov: meno male!

L'interrogatorio dell'ormai in pensione vice capo della polizia di stato Ansoino Andreassi ci rivela un discreto numero di retroscena mai affermati con onesà in aula, e in alcuni casi oggetto di clamorosi testa coda da parte di alcuni testimoni ancora in servizio.
Ansoino Andreassi - anche se non lo sa - agisce al g8 come vice capo della polizia, nonostante sia stato deposto e trasferito ad altro incarico dal primo luglio. Nonostante questa sua sfortunata condizione lui è il responsabile dell'Ordine Pubblico a Genova, e si avvale della collaborazione diretta di moltissimi funzionari e dirigenti.
La prima cosa che il prefetto Andreassi ci racconta senza mezzi termini è che da sabato la linea strategica delle forze dell'ordine cambia: dalla sua gestione caratterizzata dalla mediazione continua volta a limitare i danni, il boccino passa nelle mani del fu prefetto La Barbera e al suo diretto esecutore il questore Gratteri: in questo senso Andreassi ricostruisce perfettamente le operazioni della mattina alla scuola Paul Klee (il famoso sequestro del camion COBAS che distribuiva mazze) diretta da Gratteri per ordine diretto di De Gennaro, l'organizzazione dei pattuglioni misti sempre agli ordini del capo della polizia e capeggiati da SCO e squadre mobili (alle dipendenze di Gratteri e La Barbera) con il fine esplicito di “dare la caccia ai black block”, e l'operazione Diaz costituiscono la concretizzazione della necessità di compensare i danneggiamenti dei giorni precedenti con un numero adeguato di arresti che “dimostrino la reazione della polizia di fronte all'inerzia percepita nei giorni precedenti”.
La teoria del cambio di passo avvenuta sabato finalmente ha una conferma testimoniale, insieme ai protagonisti di questo cambio di passo ai fini di compensazione di immagine, prima ancora che di gestione dell'Ordine Pubblica: Gianni De Gennaro, il prefetto La Barbera e Francesco “Checco” Gratteri.
Proprio dai pattuglioni che percorrono Genova a caccia delle prede che consentiranno alla Polizia Italiana di salvare la faccia arriva l'occasione perfetta: Di Bernardini e Calderozzi (il vice di Gratteri) subiscono una aggressione al loro pattuglione che – come dice Andreassi - “se fosse stata vera come descritta imponeva un'operazione immediata per arrestare ed identificare i responsabili”. L'operazione che viene decisa è una perquisizione in cui però il “profilo della operazione di polizia giudiziaria è meno rilevante di quello di emergenza nell'intervento”. Andreassi è nella stanza con il questore, La Barbera, Gratteri e Mortola quando si decide di procedere, quando si interpella Donnini che mette a disposizione il VII nucleo del Reparto Mobile di Roma capeggiato da Canterini con funzioni di appoggio (“lasciate alla sensibilità e alla descrizione di chi poi coordinerà l'azione sul campo”), quando si effettuano le verifiche del caso tramite un sopralluogo e una telefonata di Mortola, e quando si dispone una seconda riunione operativa in cui organizzare materialmente l'operazione.
Il prefetto Ansoino Andreassi vive la perquisizione come “una calamità”: “tutti si stavano preparando ad andare a casa, la tensione stava scemando e dovevamo solo garantire il deflusso”. Ma date le premesse non si può non procedere: invia allora sul posto Lorenzo Murgolo con la funzione di tenerlo aggiornato sull'operazione e di dirigere le eventuali esigenze di ordine pubblico relative alla presenza di migliaia di manifestanti alla stazione di Brignole. Alla domanda esplicita del Presidente del Collegio sulle affermazioni sensazionali di Colucci nelle udienze precedenti su Murgolo come coordinatore di tutta l'operazione, la risposta di Andreassi è molto netta: “Non mi risulta e non è possibile. Io ho mandato personalmente Murgolo sul posto e lui ha continuato a riferirmi circa l'operazione. I ruoli operativi sono stati decisi nella seconda riunione in cui io non ero presente. Per carisma, esperienza e anzianità sicuramente il prefetto La Barbera – nonostante non potesse dirigere una operazione di quel tipo – era il riferimento per tutti, ma in una situazione del genere ogni reparto afferisce ai suoi superiori diretti”. Il nostro fiuto ci dice che Colucci può stare sereno che la sua abnegazione alle alte sfere della polizia questa volta gli frutteranno un fascicolo per falsa testimonianza.
Della perquisizione Andreassi apprende per telefono attraverso Murgolo, e poi successivamente da La Barbera, Canterini e lo stesso Nucera quando rientrano in questura. Significativo il modo in cui apprende delle molotov Andreassi: “Hanno trovato delle molotov: MENO MALE! Due? MENO MALE!!!”
Ma poi il materiale che viene mostrato alla stampa il mattino dopo è esiguo e non giustifica secono il prefetto l'operazione, tanto che quando De Gennaro gli chiede di fare una seconda conferenza stampa e di rispondere alle critiche dei giornalisti, il prefetto Andreassi rifiuta, optando per una sola intervista in cui veicolare una difesa, molto meno a spada tratta, dell'operazione.
Questo atteggiamento è il sigillo di chi ha visto nell'operazione alla Diaz una rogna, solo parzialmente alleviata da un ritrovamento fortuito (e come ormai sappiamo doloso) di due bottiglie molotov e conclusa come qualcosa di cui doversi vergognare di fronte all'opinione pubblica di mezzo mondo.
Gli unici che sembrano non essersi accorti di tutto questo sono gli avvocati della difesa con la loro prosopopea e arroganza: ognuno mostra d'altronde la pasta di cui (si) è fatto.

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